CERTIFICATo DI MALATTIA"anamnestico"

 

Se ne è parlato molte volte, ma persiste tutt'ora l'abitudine, da parte di alcuni pazienti, di richiedere al proprio medico un certificato attestante una malattia pregressa che gli ha impedito di recarsi al lavoro.

Si ribadisce che tale "certificazione anamnestica" non è coerente con la normativa vigente e può esporre il medico a pesanti conseguenze.

Una recente sentenza della Cassazione civile (n. 3705/2012) è ritornata sull'argomento, confermando al medico responsabile di tale comportamento la sospensione dall'esercizio della professione per un mese e ponendo a sua carico il pagamento delle spese processuali.

Di seguito riportiamo il testo di tale sentenza:

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 gennaio – 9 marzo 2012, n. 3705 Presidente Spagna Musso – Relatore Carluccio

Svolgimento del processo

1. Il Consiglio dell'Ordine dei medici chirurghi e degni odontoiatri della Provincia di Milano irrogava al dott. M.M. la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per mesi uno, ritenendo violato l'art. 24 del codice deontologico in riferimento alla redazione di certificati di malattia.
2. La Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie rigettava il ricorso proposto dal medico (decisione del 9 agosto 2010). 3. Avverso la suddetta decisione il dott. M. ricorre per cassazione, con due motivi, esplicati da memoria.
Resiste con controricorso l'Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Milano.
Il Ministero della salute e il Procuratore della Repubblica di Milano, ritualmente intimati, non svolgono difese.

Motivi della decisione

1. La decisione impugnata, preso atto che - come riconosciuto dallo stesso medico - questi aveva redatto, a richiesta del paziente, sul modulario ufficiale, certificati attestanti le patologie patite in giorni precedenti, come riferite dallo stesso, senza alcun accertamento medico - riteneva integrata la violazione dell'art. 24 del codice deontologico per avere il medico rilasciato, quantomeno con superficialità, una certificazione diversa da quella autorizzata dalla normativa, nonostante fosse ragionevolmente chiaro il fine del paziente di giustificare le precedenti assenza dal lavoro.
Riteneva congrua la sanzione in ragione della gravità del comportamento, emergente dall'utilizzo del modulario e dalla mancata percezione della gravità dello stesso da parte del medico.

2. Con il primo motivo si deduce, in riferimento all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell'art. 24 del codice deontologico, concernente i certificati medici, per essere stato applicato in una fattispecie in cui è pacifico che il medico non ha certificato nulla, ma ha solo attestato le dichiarazioni del paziente, comportamento non vietato dalla suddetta disposizione. Con il secondo, si deduce contradditorietà della motivazione per aver riconosciuto la violazione del suddetto articolo, che obbliga il sanitario a comportamenti rigorosi quando rilascia una certificazione, pur riconoscendo che quella rilasciata dal medico era diversa, nonché per aver riconosciuto congrua la misura della sanzione, sulla base dell'atteggiamento tenuto dal medico nel corso del giudizio.

3. Per la stretta connessione, i due motivi vanno trattati congiuntamente.
La censura svolta, sotto il duplice profilo suddetto, si incentra sulla mancanza dei caratteri che individuano un certificato medico in quelli redatti dall'incolpato, i quali sarebbero qualificabili come «certificati anamnestici». Contenendo questi ultimi solo quanto riferito dal paziente in ordire al proprio stato di salute nei giorni precedenti alla visita, non potrebbero essere qualificati «certificati», ai sensi del generale precetto deontologico (art. 24), che individua i certificati come attestanti dati clinici constatati e documentati e ne prescrive la diligente e corretta compilazione, con la conseguenza che la loro redazione non sarebbe sanzionabile.

3.1. La censura va rigettata.
II fatto e, cioè, l'attestazione su modulario ufficiale che, secondo quanto riferito dal paziente, lo stesso si era assentato dai lavoro «per malattia», «per indisposizione», è stato ragionevolmente sussunto nella norma prevista dal codice deontologico, prima in sede amministrativa, poi dal giudice speciale previsto dall'Ordinamento.
La riconducibilità di tali certificati nell'area precettiva dell'art. 24 discende da considerazioni logiche, oltre che dalla funzione del certificato per incapacità al lavoro, redatto dal medico di famiglia. Se il codice deontologico richiede scrupolo e diligenza nella redazione di certificati medici in senso proprio, non possono non essere vietati gli attestati che, come nella specie, hanno la parvenza di certificati - anche se non certificano nulla - e che, proprio perché provengono da un medico e sono statti redatti su un modulario, previsto per la certificazione di malattia rispetto all'assenza dal lavoro, si prestano ad ingenerare il dubbio che l'assenza sia giustificata da una malattia accertata.
Di tutta evidenza è, poi, la non ipotizzabilità - già da un punto di vista logico - di un certificato «anamnestico», nel quale la ricognizione di precedenti stati patologici riferiti dal paziente sia finalizzata, non al medico per pervenire ad una diagnosi attuale delle patologie in atto, ma alla giustificazione di una assenza dal lavoro.
D'altra parte, proprio la disciplina - nell'ambito delle convenzioni tra Servizio Sanitario Nazionale e medici di famiglia - della certificazione per incapacità al lavoro su moduli (da inviare al datore di lavoro e all'ente previdenziale), rende evidente gli obblighi del medico, connessi alla sua funzione di certificatore di patologie riscontrate, al fine di scongiurare comportamenti illeciti.

3.2. Quanto alla congruità della sanzione inflitta, la motivazione, basata proprio sull'utilizzo dei modulari e sulla mancanza di consapevolezza della gravità del fatto, desunta dalla convinzione della possibilità di poter redigere certificati «anamnestici», è immune da vizi logici.

4. Non merita accoglimento la richiesta dei ricorrente, avanzata con memoria, di disporre la cancellazione dal controricorso della espressione: «così inesorabilmente sporcando il proprio camice di medico». Infatti, la stessa non esula completamente dalla materia del contendere e dalle esigenze difensive, considerata la natura del procedimento disciplinare volto a salvaguardare, attraverso la repressione dei comportamenti contrastanti, proprio il prestigio e il decoro della professione.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato; le spese del processo di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso; condanna M.M. al pagamento, in favore del Consiglio dell'Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della Provincia di Milano, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.600,00, di cui Euro 2.400,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.